BIOMATERIALI
Materiali innovativi stampabili in 3D, ultraresistenti e autoriparanti, consentiranno promettenti applicazioni nell’ambito industriale e della medicina rigenerativa
Pubblicato il 30.05.2016
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Il tessuto osseo naturale, come la cartilagine, ha una forte resistenza meccanica, ma è allo stesso tempo dinamico. I ricercatori hanno studiato il modo per mimare queste caratteristiche con materiali sintetici. E utilizzando una componente inorganica a base di silicio con una nuova matrice organica mai utilizzata prima è stato creato un materiale con caratteristiche molto particolari, che possono anche essere modulate cambiando i rapporti tra le componenti organiche e inorganiche. Il materiale è così in grado di auto-ripararsi in caso di fratture nette o in caso di scheggiature, è elastico, resiste alla compressione e alla trazione.
In natura l’elasticità e la resistenza sono date dalla compartecipazione della matrice inorganica rigida e resistente, componente minerale calcificata, con una matrice organica che conferisce elasticità, la cosiddetta componente proteica. Da anni si stanno cercando dei sostituti ossei capaci di mimare le proprietà dell’osso naturale; per ottenere caratteristiche analoghe si preparano materiali definiti “ibridi” costituiti da una componente inorganica, spesso a base di silicio, e da una componente organica di tipologia estremamente variabile. Con questa ricerca si è riusciti a sintetizzare un materiale che unisce entrambe le caratteristiche.
Lo studio dimostra che il nuovo materiale sviluppato pone le basi di partenza per lo sviluppo di nuove strategie di cura e per realizzare in laboratorio, per la prima volta, un nuovo materiale mimetico del tessuto cartilagineo. Grazie alle caratteristiche modulabili, verrà studiato il suo utilizzo nell’ambito della medicina rigenerativa. In particolare, dopo un’ulteriore fase di ricerca, si potrebbe giungere alla realizzazione di un materiale che, opportunamente ingegnerizzato, mimi il tessuto e ne stimoli la riparazione, fino ad arrivare alla rigenerazione della cartilagine consumata o danneggiata sia a livello del menisco sia a livello dei dischi intervertebrali.
C’è ancora molta strada da fare e sarà necessario diverso tempo e uno sviluppo approfondito delle ricerche prima che questa tecnologia possa essere applicata nell’uomo, ma il risultato raggiunto è un passo importante per una nuova medicina di frontiera.
Le capacità autoriparanti e la possibilità di stampa in 3D permetterà di studiare, inoltre, ambiti di applicazione industriale. La tecnologia messa a punto potrebbe essere estesa infatti alla realizzazione di materiali innovativi ultraresistenti e autoriparanti per innumerevoli applicazioni di uso quotidiano, come monitor per PC e schermi per smartphone.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 12 maggio 2016
Image credit: Imperial College London
PROCESSI DI CATALISI
Realizzato un materiale che mantiene stabile il catalizzatore disperso in forma di singoli atomi: un risultato che aumenta l’efficienza del processo facendo diminuire costi e sprechi
Pubblicato il 02.03.2016
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Per mantenere la “nanopolvere” massimamente dispersa, un team di ricerca italo-ceco ha realizzato un materiale che mantiene stabile il catalizzatore “disperso”, aumentando così l’efficienza del processo e diminuendo nel contempo costi e sprechi. Condotto da ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e del centro DEMOCRITOS dell’Istituto Officina dei Materiali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IOM-CNR), in collaborazione con la Charles University di Praga, lo studio è stato pubblicato su Nature Communications nell’articolo “Creating single-atom Pt-ceria catalysts by surface step decoration” e finanziato dal progetto europeo chipCAT – Design of thin-film nanocatalysts for on-chip fuel cell technology.
Il gruppo di scienziati ha studiato il modo di produrre granuli di platino così piccoli da essere costituiti da un solo atomo e di mantenerli dispersi in maniera stabile, sfruttando le proprietà del substrato sul quale poggiano. Il lavoro teorico ha dimostrato che le discontinuità del substrato chiamate step (gradini), osservate negli esperimenti effettuati presso Sincrotrone Trieste, tendono ad attirare le nanoparticelle e a disgregarle, facendo si che vi restino letteralmente attaccate in forma atomica. Le particelle incollate ai gradini non erano più visibili nemmeno con il microscopio a risoluzione atomica. Tuttavia, la loro presenza è stata rilevata dalla spettroscopia: quindi c’erano, ma non erano più libere di muoversi e invisibili. Le simulazioni al computer hanno risolto il dilemma, dimostrando che le particelle sugli step si riducono a singoli atomi.
Se la superficie viene ingegnerizzata creando un gran numero di questi difetti, allora la forza che àncora le particelle al substrato contrasta efficacemente quella di aggregazione. Il studio teorico ha permesso di prevedere il comportamento del materiale mediante un “sistema modello” al computer le cui previsioni sono state confermate dalle misure sperimentali. Materiali come questo possono essere utilizzati per gli elettrodi delle celle a combustibile, con costi molto inferiori a quelli attuali. Obiettivo prioritario del progetto chipCAT è proprio quello di riuscire a ridurre la quantità di platino usata negli elettrodi delle celle a combustibile, non solo per contenere i costi ma anche in una prospettiva di sostenibilità ambientale.
Testo redatto su fonte SISSA del 29 febbraio 2016
Per approfondimenti:
Creating single-atom Pt-ceria catalysts by surface step decoration – Nature Communications | 24.02.2016
Progetto chipCAT: chipcat.eu
Image credit: SISSA/IOM-CNR
MATERIALI BIOISPIRATI
Le tecnologie quantistiche per il solare e la sensoristica potranno diventare ancora più efficienti, grazie ad antenne fotosintetiche artificiali sviluppate nei laboratori del MIT
Pubblicato il 21.12.2015
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Lo studio, pubblicato su Nature Materials nell’articolo “Enhanced energy transport in genetically engineered excitonic networks“, è stato condotto da ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia e del Laboratorio Europeo di Spettroscopie Non-Lineari (LENS) dell’Università di Firenze, del centro di ricerca Quantum Science and Technology in ARcetri (QSTAR), del Dipartimento di Chimica dell’Università di Perugia, dell’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (INO-CNR), del MIT e del Centro ricerche ENI Donegani di Novara.
I sistemi antenna sono stati ottenuti modificando geneticamente la struttura proteica di un virus innocuo e ancorando in punti precisi della struttura due tipi di cromofori, donatori (assorbitori di luce) e accettori (emettitori di luce). La manipolazione genetica del virus consente di controllare la distanza tra i punti di supporto dei cromofori e, di conseguenza, la forza di interazione tra gli stessi, responsabile a sua volta dell’efficienza di trasporto dell’energia di eccitazione.
Mentre il processo fotosintetico nel suo complesso ha efficienze inferiori all’1%, il trasporto di energia sotto forma di eccitazione elettronica ha un’efficienza quasi del 100% anche a temperatura ambiente, di gran lunga superiore a quella delle migliori celle solari. Risultati sperimentali supportati da modelli teorici hanno dimostrato negli ultimi anni che, alla base di questa straordinaria efficienza, vi sono effetti spiegati solo dai principi della fisica quantistica, per cui l’unità energetica (eccitone) viene creata su diversi cromofori simultaneamente, percorrendo vari cammini in parallelo per trovare il percorso ottimale verso il centro di reazione. In queste condizioni, i movimenti molecolari attivi a temperatura ambiente invece che essere di ostacolo, come normalmente ci si dovrebbe aspettare, rendono i processi più veloci.
Per analizzare il trasporto energetico nei sistemi antenna è stato realizzato un esperimento in cui questi vengono stimolati tramite impulsi laser estremamente veloci, che vengono prima assorbiti dalle molecole donatore e poi riemessi da quelle accettore, permettendo così di misurare l’efficienza di trasporto. Per le strutture geneticamente modificate è stata misurata una propagazione dell’eccitone due volte più veloce rispetto alle stesse antenne a base di virus non modificato, con distanze di propagazione del 68%. Lo studio ha verificato sperimentalmente quanto scoperto a livello teorico sull’importanza del rumore esterno e degli effetti quantistici per spiegare il trasporto energetico su complesse strutture fotosintetiche di batteri.
Testo redatto su fonte Università di Firenze del 17 dicembre 2015
Per approfondimenti: Enhanced energy transport in genetically engineered excitonic networks – Nature Materials | 12.10.2015
Image credit: Lauren Aleza Kaye, 2015
FISICA SPERIMENTALE
Con l’obiettivo di “vedere” le particelle della materia oscura, XENON1T è un sofisticatissimo rivelatore immerso in un criostato contenente 3.500 kg di xenon liquido a -100 °C
Pubblicato il 15.11.2015
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La probabilità delle loro particelle di interagire con gli atomi dei rivelatori è molto piccola, e per trovare le firme di questi rarissimi eventi è necessario l’impiego di strumenti grandi e molto sensibili. Per risolvere questo mistero è necessario realizzare un potente rivelatore, uno strumento con una grande massa e una radioattività estremamente bassa, al fine di ridurre il rischio di non poter distinguere un evento dovuto alla materia oscura fra tanti altri segnali che costituiscono il rumore di fondo. XENON1T è stato realizzato presso i Laboratori sotterranei del Gran Sasso, proprio per garantire, con uno spessore di circa 1.400 m di roccia, una schermatura molto efficace dai raggi cosmici. Ma per ottenere quello che i fisici chiamano “silenzio cosmico”, la schermatura della sola montagna non è sufficiente.
Per questo i ricercatori di XENON1T hanno scelto di utilizzare un gas nobile ultrapuro, lo xenon per l’appunto, raffreddato a una temperatura molto bassa, -95 °C, per mantenerlo allo stato liquido. Il rivelatore, la Camera a Proiezione di Tempo, o TPC (Time Projection Chamber), cuore dell’esperimento, è in grado di dare un segnale quando le particelle interagiscono al suo interno. Il rivelatore è immerso in un criostato, un thermos, in acciaio inossidabile a bassa radioattività, contenente circa 3.500 kg di xenon liquido. Ma non solo: per garantire una schermatura dalla radioattività ambientale, e dai muoni cosmici che possono produrre un ulteriore fondo all’interno del rivelatore, il thermos è a sua volta immerso in 700 m3 d’acqua ultrapura, all’interno di un contenitore alto circa 10 m, attrezzato con 84 fotomoltiplicatori che servono per rivelare il passaggio dei muoni cosmici.
Secondo i modelli teorici più accreditati, il vento di particelle prodotto dal movimento della Terra nell’alone di materia oscura che avvolge la Via Lattea può occasionalmente colpire i nuclei atomici di un materiale rivelatore, depositando una piccola quantità di energia, che solo uno strumento di grande sensibilità consente di osservare. In XENON1T le rare interazioni con le particelle di materia oscura producono nello xenon liquido due segnali: un lampo di luce primario e un segnale di carica che genera un secondo segnale di luce ritardato. I segnali luminosi sono catturati da 248 fotomoltiplicatori, o PMTs (PhotoMultiplier Tubes), sofisticati “occhi” capaci di rivelare ogni singolo fotone. Dall’analisi dei segnali i fisici di XENON1T possono poi misurare l’energia e la posizione dell’interazione, e la natura della particella.
XENON1T è un esperimento frutto di una collaborazione internazionale di 21 gruppi di ricerca, provenienti da Italia, USA, Germania, Svizzera, Portogallo, Francia, Paesi Bassi, Israele, Svezia e Abu Dhabi. Il gruppo italiano che partecipa all’esperimento, costituito, insieme ai LNGS, dalle sezioni INFN e dalle Università di Bologna e Torino, ha preso parte in modo considerevole alla sviluppo di XENON1T, in particolare con responsabilità specifiche nella progettazione e realizzazione di tutte le infrastrutture dell’esperimento, del sistema di schermo d’acqua, e dei fotorivelatori, oltre che nella simulazione Montecarlo dell’apparato e delle particelle in grado di attraversarlo.
Testo redatto su fonte INFN del 10 novembre 2015
Per approfondimenti su “Xenon Dark Matter Project” – XENON1T: www.xenon1t.org
Image credit: Ludwig Rauch/Purdue University, 2015
STRUTTURE METALLO-ORGANICHE
Utilizzando tecniche di sintesi e di Ingegneria Molecolare, sono stati realizzati solidi porosi capaci di immagazzinare selettivamente gas di rilevanza energetico-ambientale
Pubblicato il 29.10.2015
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I ricercatori (tra questi il Prof. Norberto Masciocchi dell’Università dell’Insubria e alcuni collaboratori del To.Sca.Lab (Total Scattering Laboratory), laboratorio congiunto Insubria/CNR) hanno preparato e caratterizzato nuovi materiali appartenenti alla classe delle cosiddette “spugne molecolari”. Essi risultano estremamente flessibili, e assorbono, durante il processo di immagazzinamento, elevate quantità di gas, con una serie di cambiamenti strutturali accompagnati da un anomalo effetto di assorbimento di calore. In assenza di questo effetto, materiali analoghi, noti da tempo, mostrano prestazioni significativamente inferiori.
Lo studio si inserisce in un tematica di elevato interesse, accademico ed industriale, che prende spunto dalla possibilità di utilizzare tecniche di sintesi e di Ingegneria Molecolare per la progettazione, e la realizzazione, di solidi porosi capaci di immagazzinare selettivamente gas di rilevanza energetico-ambientale (idrogeno per autotrazione, anidride carbonica per riduzione dell’effetto serra, inquinanti ambientali e gas tossici dall’atmosfera, composti solforati da benzine, kerosene ed affini). Il contributo significativo dei ricercatori italiani si è particolarmente incentrato sulla modellizzazione strutturale e dinamica del comportamento flessibile, e reversibile, di questi materiali, capaci di espandersi (ed aumentare il volume disponibile all’immagazzinamento del metano) nel momento in cui vengono esposti ad un flusso del gas sotto pressione.
L’utilizzo di tecniche sperimentali avanzate (scattering con radiazione di sincrotrone) e di software ed algoritmi numerici innovativi, sviluppati ad hoc, ha permesso di evidenziare un comportamento inusuale, in cui un materiale solido inizialmente molto denso, diventa altamente poroso in presenza di gas, grazie a movimenti atomici correlati (come quelli delle asticelle di un pantografo) associati ad una significativa variazione energetica. La comprensione dettagliata dell’intera trasformazione è stata resa possibile dalla sinergia tra tecniche cristallografiche innovative e Scienza dei Materiali.
Testo redatto su fonte Università dell’Insubria del 27 ottobre 2015
Per approfondimenti: Methane storage in flexible metal–organic frameworks with intrinsic thermal management – Nature | 26.10.2015
Image credit: Jarad A. Mason/UC Berkeley, 2015
MATERIALI BIOMIMETICI
Biopolimeri derivati dall’elastina umana si prestano alla realizzazione di materiali biomimetici “intelligenti” per applicazioni nella rigenerazione del muscolo scheletrico
Pubblicato il 12.10.2015
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Un team di ricerca del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste ha sintetizzato, mediante la tecnologia del DNA ricombinante, i biopolimeri HELP (Human Elastin-Like Polypeptides) che, derivati dall’elastina umana, mantengono diverse proprietà peculiari di questa proteina fisiologicamente presente nella matrice di molti tessuti. Questi biopolimeri, dotati di ottima biocompatibilità, ben si prestano per la realizzazione di materiali biomimetici “intelligenti” di nuova generazione, il cui comportamento risponde alle condizioni dell’ambiente circostante e di conseguenza, li rende in grado di interagire con la componente biologica a livello cellulare. Tre di questi polipeptidi, differenti tra loro per alcune piccole porzioni della sequenza aminoacidica, sono stati saggiati come substrati di adesione per cellule di origine mioblastica, precursori delle fibre muscolari.
Lo studio, pubblicato su Biomaterials dal titolo “In vitro myogenesis induced by human recombinant elastin-like proteins” ha dimostrato che, non solo i polipeptidi HELP stimolano il differenziamento miogenico di queste cellule, ma, soprattutto, che l’entità ed il tipo delle risposte cellulari dipendono strettamente dalla sequenza aminoacidica del polipeptide utilizzato. I risultati ottenuti indicano che le proprietà dei polipeptidi HELP possono essere sfruttate da un lato per chiarire con maggior dettaglio i meccanismi molecolari responsabili dello sviluppo del muscolo scheletrico, dall’altro come basi di partenza per nuove strategie volte a promuovere, in vivo, la rigenerazione muscolare.
Testo redatto su fonte Università di Trieste dell’8 ottobre 2015
Per approfondimenti: In vitro myogenesis induced by human recombinant elastin-like proteins – Biomaterials | 01.10.2015
Image credit: K. Healy Lab/Berkeley Stem Cell Center, UC Berkeley
CIRCUITI CALORITRONICI
Un dispositivo in grado far fluire le correnti di calore in una sola direzione apre la strada a potenziali circuiti elettronici alimentati dal calore anziché dalla corrente elettrica
Pubblicato il 07.04.2015
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Ora un simile effetto è stato ottenuto, a basse temperature, in un dispositivo basato su metalli e superconduttori, nei laboratori NEST (National Enterprise for nanoScience and nanotechnology) di CNR-Nano e SNS. “A temperature prossime allo zero assoluto, circa -273°C, il calore è trasmesso principalmente dagli elettroni anziché dalle vibrazioni del reticolo cristallino e quindi ‘governando’ gli elettroni si può controllare il flusso di calore”, spiega Giazotto. “È quanto siamo riusciti a fare nel nostro circuito, in cui le correnti di calore scorrono preferenzialmente in un verso, ottenendo così un diodo termico, così chiamato in analogia al diodo elettrico dove la corrente viaggia ‘a senso unico’”.
Il cuore del diodo è composto da un elettrodo di materiale superconduttore combinato con un metallo che agisce come ‘via di fuga’ termica. “A temperature criogeniche, il dispositivo trasmette calore quando una delle sue estremità viene scaldata, mentre disperde la maggior parte dell’energia termica attraverso la via di fuga quando è scaldato l’estremo opposto”, continua il ricercatore di CNR-Nano. “Le misure mostrano che la corrente in un senso è 100 volte superiore a quella che fluisce in senso opposto: un’efficienza elevata, considerato che fino ad oggi il valore massimo era circa 1.4, ottenuto in sistemi di altro tipo a temperature maggiori”.
Il risultato si aggiunge ai precedenti ottenuti dal gruppo di ‘Caloritronica coerente’ guidato da Giazotto, che conclude: “Il diodo termico è il primo mattone per creare circuiti caloritronici, l’equivalente termico dei circuiti logici elettronici, in cui l’informazione viene scambiata attraverso trasferimenti di calore invece che da segnali elettrici”.
Testo redatto su fonte CNR del 3 aprile 2015
Per approfondimenti: Rectification of electronic heat current by a hybrid thermal diode – Nature Nanotechnology | 23.02.2015
Image credit: CNR-Nano
MATERIALI COMPOSITI
Sviluppato un processo per produrre componenti ceramici fibrorinforzati a basso costo con elevate proprietà di isolamento termico, leggerezza e resistenza meccanica
Pubblicato il 29.01.2015
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Le applicazioni finora sviluppate puntavano a offrire nuovi materiali e tecnologie per produrre compositi ceramici fibrorinforzati di basso costo e basso peso (densità meno del doppio di quella dell’acqua) in grado di svolgere la funzione di isolamento termico e rinforzo meccanico fino a una temperatura di 600°C, essendo anche totalmente ignifughi fino ad una temperatura di 1.200-1.250°C. La combinazione di queste caratteristiche uniche (isolamento termico, leggerezza e resistenza termomeccanica) insieme ai processi produttivi sviluppati e brevettati dall’ENEA, li rendono materiali ideali per prodotti quali parti di motori a combustione interna, pannellatura antifuoco e il rinforzo e la coibentazione degli edifici. Le tecnologie sono già state testate su impianti industriali, o di taglia rappresentativa della produzione industriale.
Testo redatto su fonte ENEA del 27 gennaio 2015
Image credit: ENEA
MATERIE PRIME
ENEA: un progetto europeo finanzia con 2 miliardi di euro l’attività di ricerca volta a migliorare l’estrazione, il riciclo, il riuso e la sostituzione delle materie prime “critiche”
Pubblicato il 21.12.2014
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Il consorzio RawMatTERS è composto da 20 paesi e oltre 100 partner. Per l’Italia, oltre alla capofila ENEA, sono coinvolti Trento Rise, ASTER, Marangoni, le Università di Padova e di Milano Bicocca e, come partner associati, Pirelli Tyre, Politecnico di Milano, Zanardi Fonderie, più 16 partner a progetto, principalmente PMI di Italia, Spagna e Malta, più 15 partner di supporto fra i quali Unioncamere, Regioni Lazio e Lombardia e il Ministero dello Sviluppo Economico. Le attività partiranno da gennaio 2016 e avranno una durata di sette anni, fino al 2022.
Nella scienza e tecnologia dei materiali, l’ENEA è impegnata principalmente nella ricerca applicata alla realizzazione di nuovi materiali e di nuovi componenti. Riguardo alla KIC materie prime critiche, le attività si baseranno su competenze sviluppate grazie a finanziamenti regionali, nazionali ed europei, ad esempio nel recupero di metalli preziosi da prodotti ad alto valore aggiunto (display, lampade, schede elettroniche), la sostituzione delle materie prime critiche incorporate nei prodotti elettronici e del settore illuminotecnico, il recupero di terre rare dai magneti permanenti utilizzati in hard disk ed altri prodotti elettronici, la progettazione e realizzazione di nuovi prodotti che riducono o annullano l’utilizzo di materie prime critiche (OLED, celle solari).
Le materie prime strategiche sono essenziali per produrre beni diffusi quali telefoni cellulari, cavi di fibre ottiche, celle fotovoltaiche. Le terre rare, ad esempio, servono per realizzare le turbine eoliche, il germanio per i rivelatori all’infrarosso, il magnesio per le leghe leggere in alluminio. Tuttavia, a fronte di una domanda in forte crescita, l’approvvigionamento sta diventando problematico a causa della concentrazione dell’offerta da pochissimi paesi: Cina, Russia, Repubblica democratica del Congo e Brasile; a ciò si aggiungono il basso grado di sostituibilità e i tassi ridotti di riciclaggio. Già nel 2010 la Commissione europea aveva segnalato l’esigenza di interventi e individuato 14 materie prime “strategiche”: antimonio, berillio, cobalto, spatofluoro, gallio, germanio, grafite, indio, magnesio, niobio, platinoidi, terre rare, tantalio e tungsteno. E nel maggio scorso la lista è stata portata a 20.
Testo redatto su fonte ENEA del 18 dicembre 2014
Image credit: Peggy Greb, Agricultural Research Center, US Department of Agriculture
MATERIALI BIOCOMPATIBILI
Una ricerca italo-svedese ha realizzato un materiale a base di nanocellulosa con elevate capacità isolanti, di resistenza alla fiamma e completamente biocompatibile
Pubblicato il 06.11.2014
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Per risolvere questo problema, il gruppo di lavoro ha studiato la realizzazione di un nuovo materiale, prodotto attraverso un particolare processo detto “freezecasting”, che combinando sospensioni di nanocellulosa, ossido di grafene e nanoparticelle di sepiolite (materiali rinnovabili e abbondanti) ha permesso la produzione di schiume caratterizzate da estreme proprietà di isolamento termico e resistenza alla fiamma in grado di surclassare i materiali tradizionali. Le schiume prodotte sono ultra-leggere e presentano una capacità isolante superiore rispetto ai materiali tradizionali. Dal punto di vista della protezione al fuoco, altra caratteristica fondamentale per questi materiali, le schiume prodotte hanno mostrato un comportamento autoestinguente durante i test di resistenza all’applicazione di una fiamma: questi nuovi materiali si dimostrano quindi sicuri anche dal punto di vista degli incendi, in netto contrasto con le proprietà dei materiali tradizionali che statisticamente risultano invece la causa principale dei roghi nelle abitazioni. Proprio questo aspetto della ricerca è stato condotto da Federico Carosio e Giovanni Camino del Politecnico di Torino (sede di Alessandria), che hanno fornito le loro competenze di Scienza e Ingegneria dei Materiali nell’ambito del design, caratterizzazione e sviluppo di materiali stabili termicamente e con proprietà di resistenza al fuoco.
Oltre alle proprietà tecnologiche, queste schiume innovative presentano una composizione “green” ed ecosostenibile soprattutto se paragonate con i materiali tradizionali per i quali vengono utilizzati additivi per la protezione al fuoco che risultano essere tossici ed estremamente dannosi per l’uomo e l’ambiente.
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 4 novembre 2014
Per approfondimenti: Thermally insulating and fire-retardant lightweight anisotropic foams based on nanocellulose and graphene oxide – Nature Nanotechnology | 02.11.2014
Image credit: Nature Nanotechnology (2014) DOI: 10.1038/nnano.2014.248
SUPERCONDUTTORI
Uno studio coordinato da ricercatori italiani propone un possibile meccanismo fisico per la generazione della superconduttività nei materiali ad alta temperatura critica
Pubblicato il 18.10.2014
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“Continuando con la metafora, in questi materiali si verifica una situazione in cui le sfere pesanti sono due: regolando in modo adeguato la velocità del movimento, è possibile per esempio far muovere un’altra palla nella ‘scia’ della precedente. Le due sfere si accoppiano viaggiando insieme e si comportano come un unico oggetto”. Questo dà un’idea di quello che succede agli elettroni nel reticolo cristallino del materiale superconduttore tradizionale. “Due elettroni normalmente si respingerebbero, per via della carica di segno uguale, ma in queste condizioni invece riescono a viaggiare insieme, dando origine alla superconduttività”, continua Fausti. La superconduttività è una proprietà dei materiali che può essere sfruttata in molti modi, per esempio in campo medico o addirittura nei trasporti. La difficoltà nel maneggiare questi materiali che diventano superconduttori a temperature bassissime, prossime allo zero assoluto (-273° C) e difficilmente raggiungibili, li rendono però poco attraenti nel campo delle applicazioni tecnologiche. Gli scienziati più recentemente hanno individuato altre famiglie di superconduttori come quella basata sugli ossidi di rame, o cuprati, che esibiscono le loro proprietà a temperature sensibilmente più alte (-196° C) e che dunque promettono una più alta facilità d’uso. Il meccanismo che agisce in questi nuovi materiali però resta misterioso. “Le evidenze sperimentali non hanno mostrato che qui entri in gioco la vestizione”, spiega Fausti.
“Ma ne siamo davvero certi?” si è chiesto lo scienziato. Fausti insieme a Fabio Novelli, di Elettra e Università di Trieste e primo autore dello studio, e agli altri ricercatori coinvolti, ha ideato una nuova tecnica per guardare direttamente alla vestizione delle eccitazioni in sistemi complessi. Utilizzando impulsi di luce ultracorti a frequenze diverse, è possibile studiare la reazione del così detto “campo bosonico” a cui gli elettroni sono accoppiati in un cristallo di La2CuO4, capostipite della famiglia dei cuprati. Se gli elettroni sono le sfere pesanti e il reticolo cristallino del superconduttore la rete elastica, gli impulsi di luce sono una forza oscillante che spinge gli elettroni sulla rete. Cambiando la frequenza dell’impulso di luce i ricercatori hanno osservato direttamente la reazione della rete elastica, e per certe frequenze la sua reazione si è mostrata sufficientemente veloce per “vestire” la sfera.
“Questa osservazione ora può guidare la ricerca sulla teoria dei superconduttori ad alta temperatura”, commenta Massimo Capone, ricercatore della SISSA che ha partecipato allo studio nella sua parte teorica. “Stando a questo risultato infatti gli elettroni vanno sicuramente incontro a un processo di accoppiamento mediato da una rete che li tiene uniti nonostante la forte repulsione Coulombiana”. Oltre al risultato sperimentale lo studio ha anche il merito di introdurre una nuova metodologia con prospettive promettenti nello studio dei materiali del futuro.
Allo studio, che fa parte del progetto GO FAST finanziato dall’Unione Europea, hanno partecipato anche il politecnico di Milano, l’Università Cattolica di Brescia, l’IFO di Barcellona, l’Istituto Riken di Tokyo, l’Università di Oxford e quella di Colonia.
Testo redatto su fonte Università di Trieste del 16 ottobre 2014
Per approfondimenti: Witnessing the formation and relaxation of dressed quasi-particles in a strongly correlated electron system – Nature Communications | 07.10.2014
Image credit: Elettra/Università di Trieste
MATERIALI PER LE TELECOMUNICAZIONI
Realizzato un nuovo tipo di fibra ottica in grado di trasportare più informazioni rispetto a quella convenzionale, grazie a una struttura interna fortemente disordinata
Pubblicato il 30.07.2014
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Sfruttando questo fenomeno, un team di ricerca internazionale a guida italiana ha sviluppato un nuovo tipo di fibra ottica, formata da tubi di un materiale simile alla comune plastica disposti in maniera disordinata, in cui viene creata una via di fuga per la luce intrappolata, che segue il percorso desiderato, rimanendo concentrata, invece di diffondere in tutte le direzioni.
La ricerca è pubblicata su Nature Communications in “Light focusing in the Anderson regime“.
I segnali luminosi che viaggiano su queste linee di trasmissione portano più informazioni rispetto alle fibre ottiche convenzionali in cui soltanto un canale spaziale di luce attraversa la fibra. L’interno disordinato della fibra fa sì che, per effetto del fenomeno della localizzazione di Anderson, il raggio di luce venga bloccato in spazi piccolissimi, dove rimane intrappolato. A questo punto i ricercatori, grazie a un modulatore di luce spaziale, sono riusciti a concentrare la luce e a controllare la forma del fascio luminoso. La focalizzazione ottenuta attraverso la localizzazione di Anderson e il modulatore permetterà in pratica di fabbricare una nuova generazione di fibre per tecnologie altamente sofisticate.
Lo studio, condotto dall’Istituto dei Sistemi Complessi (ISC-CNR) e dall’Istituto per i Processi Chimico-Fisici (IPCF-CNR) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), il Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza, e l’Università del Wisconsin (USA), apre importanti prospettive per le applicazioni dei laser in chirurgia e nelle telecomunicazioni (tecnologie fotoniche, quantistiche).
Come spiega Claudio Conti, Direttore dell’ISC-CNR, in chirurgia, può essere utilizzata una fibra ottica per trasportare un fascio laser in grado di eseguire tagli molto precisi, uniti a un effetto coagulante: il taglio è tanto più preciso, quanto più la luce è focalizzata, e le nuove fibre potrebbero migliorare la precisione di questo bisturi laser. Nel campo delle telecomunicazioni, invece, le fibre consentirebbero di trasmettere più segnali nella stessa linea di trasmissione utilizzando i diversi canali spaziali creati al loro interno dalla forma disordinata.
Testo redatto su fonte Università “La Sapienza” del 29 luglio 2014
Per approfondimenti: Light focusing in the Anderson regime – Nature Communications | 29.07.2014
SUPERCONDUTTORI
SISSA: molti materiali superconduttori, con proprietà, caratteristiche e temperature critiche diverse, potrebbero essere descritti da un unico modello teorico
Pubblicato il 15.05.2014
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I cosiddetti “superconduttori ad alta temperatura” rimangono invece uno dei maggiori misteri della fisica della materia e gli scienziati negli ultimi anni stanno moltiplicando gli sforzi per comprendere il fenomeno e migliorarne il rendimento, come hanno fatto Massimo Capone e colleghi che hanno pubblicato una ricerca su Physical Review Letters in “Selective Mott Physics as a Key to Iron Superconductors“. Lo studio oltre che da Capone, responsabile del progetto ERC SUPERBAD, è firmato da Gianluca Giovannetti, del CNR-IOM e della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste, e da Luca de’ Medici della European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble.
“Per funzionare i superconduttori classici devono raggiungere temperature bassissime, molto vicine allo zero assoluto. Questo rende il loro utilizzo dispendioso e poco economico”, spiega Capone. “Quasi trent’anni fa sono state scoperte delle classi di materiali che funzionano a temperature sensibilmente più alte, ma sempre piuttosto basse, si parla di oltre 200°C sotto zero. Ci sono più tipi di materiali, con caratteristiche e temperature critiche diverse”, continua il ricercatore, “la famiglia più studiata è basata sul rame, un’altra, un po’ meno efficiente si basa sul ferro, e proprio questa è quella che abbiamo messo sotto esame”.
Come spiega Capone non esiste accordo su come si origini il fenomeno nei diversi materiali e secondo alcuni scienziati le spiegazioni potrebbero essere diverse per le varie famiglie. “Noi abbiamo condotto uno studio basato su teoria e simulazioni che dimostra che non è così: la spiegazione teorica per i superconduttori a base di rame e quelli ferrosi potrebbe essere la stessa, e potrebbe addirittura estendersi ad altri materiali, come quelli basati sul carbonio, come il fullerene, un materiale che abbiamo studiato estensivamente qui alla SISSA. In pratica potrebbe esistere una teoria unificata di questi superconduttori”.
Nel nuovo articolo Capone e colleghi dimostrano che la spiegazione è unica e avanzano alcune ipotesi sul quadro teorico in cui questa spiegazione potrebbe stare, che paradossalmente avvicinerebbero i fenomeni di superconduttività a quelli di altissima impedenza. “Non abbiamo ancora spiegato la fisica di questi superconduttori, naturalmente, se lo avessimo fatto avremmo vinto il Nobel”, scherza Capone. “Dimostrare però che il quadro teorico con cui spiegare questi fenomeni potrebbe essere uno solo è un passo avanti importante”.
Testo redatto su fonte SISSA del 14 maggio 2014
Per approfondimenti: Selective Mott Physics as a Key to Iron Superconductors – Physical Review Letters | 28.04.2014
Image credit: Christoph Gommel
MATERIALI PER L’INFORMATICA
Studiato un meccanismo che apre la strada a una nuova generazione di dispositivi con un consumo energetico di oltre mille volte inferiore rispetto a quello attuale
Pubblicato il 19.04.2014
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“L’immagazzinamento dell’informazione nei sistemi di memoria, come i dischi rigidi dei computer – spiega Piero Torelli, fisico dell’Istituto Officina dei Materiali (IOM) del CNR di Trieste e fra gli autori del paper – viene ancor oggi effettuata tramite un piccolo elettromagnete che magnetizza la superficie del disco: un processo lungo, energeticamente costoso e che non permette elevata miniaturizzazione. Indurre questa magnetizzazione attraverso un campo elettrico darebbe enormi vantaggi, permettendo di superare le attuali limitazioni, diminuendo il consumo energetico di un fattore mille e realizzando uno dei sogni della comunità scientifica e di chi cerca nuove soluzioni tecnologiche per l’elettronica moderna”.
Con questo esperimento il gruppo di ricerca ha ottenuto proprio un sistema in cui la magnetizzazione può essere spenta o accesa in risposta all’applicazione di un campo elettrico, in modo reversibile e a temperatura ambiente. “Il sistema che abbiamo studiato – continua Torelli – è costituito da due strati di materiale facilmente reperibile e poco costoso: uno di ferro e uno di ossido di bario e di titanio, che una volta sovrapposti reagiscono formando un sottilissimo ossido di ferro nella zona di interfaccia. Sottoponendo il campione a un’analisi spettroscopica con la luce di sincrotrone di Elettra siamo riusciti a seguire le proprietà di ciascuno strato, verificando come il grado di magnetizzazione all’interfaccia variasse in base al campo elettrico applicato sullo strato di ossido, in modo controllabile e reversibile”.
Il successo dell’esperimento conferma che l’abbinamento di materiali con proprietà ferroelettriche e ferromagnetiche in strati contigui rappresenta una via promettente verso il controllo elettrico della magnetizzazione e apre la strada a una nuova generazione di dispositivi di memoria. Un’elettronica moderna capace di riunire i vantaggi della ferroelettricità (basso costo di scrittura delle informazioni) e quelli del magnetismo (durata dell’informazione immagazzinata).
Testo redatto su fonte CNR del 17 aprile 2014
Per approfondimenti: Electric control of magnetism at the Fe/BaTiO3 interface – Nature Communications | 03.03.2014
Image credit: Nature Communications (2014) DOI: 10.1038/ncomms4404
RECUPERO DEI MATERIALI
Accordo CONAI-CNR: valorizzare le componenti residuali dei processi di selezione dei rifiuti di imballaggio per creare nuovi materiali e compositi a basso impatto ambientale
Pubblicato il 06.03.2014
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Con questo accordo CNR e CONAI svilupperanno soluzioni originali per il settore degli imballaggi favorendo il miglioramento dei processi di lavorazione e di riciclo dei materiali usati non esclusivamente per generare nuova energia. Attraverso un uso integrato di conoscenze e tecnologie sviluppate in ambiti disciplinari diversi, CNR e CONAI favoriranno la produzione e la circolazione di nuove tipologie di materiali da imballaggio, maggiormente biocompatibili, dal ciclo di vita più ampio e caratterizzati da un basso impatto ambientale. Obiettivi, questi, che favoriranno l’innovazione dell’intero ciclo produttivo e avranno ricadute positive per l’economia del settore.
Grazie all’accordo con il CNR, prenderanno il via due importanti progetti che potranno valorizzare le componenti residuali dei processi di selezione dei rifiuti di imballaggio, incrementando, al contempo, le quantità avviate a riciclo.
1 – Valorizzazione mediante tecniche di funzionalizzazione e compatibilizzazione di plastiche miste costituite da mix di poliolefine incluso di scarti di altre plastiche di post consumo e valutazione del decadimento delle loro proprietà come conseguenza del loro ripetuto utilizzo e riciclo
Il progetto si pone l’obiettivo di favorire il riciclo meccanico di miscele eterogenee di plastiche post-consumo mediante la definizione di una strategia di compatibilizzazione eco-friendly ed economicamente competitiva per la realizzazione di nuovi materiali a basso impatto ambientale.
2 – Riciclo meccanico di scarti eterogenei e multimateriale post-consumo per la realizzazione di compositi a basso impatto ambientale e il recupero delle frazioni metalliche
Il progetto si pone l’obiettivo di definire una strategia alternativa di riciclo meccanico, volta al recupero di scarti eterogenei e multimateriale da utilizzare come fonte di materie prime non convenzionali per realizzare nuovi compositi a basso impatto ambientale.
Oltre alla collaborazione con il CNR, CONAI svilupperà altri progetti di ricerca con università e stazioni sperimentali con l’obiettivo di migliorare la riciclabilità e le rese nel riciclo di plastica, vetro e acciaio.
Testo redatto su fonte ENEA e CONAI del 5 marzo 2014
RECUPERO DEI MATERIALI
L’ENEA sviluppa un’innovativa metodologia per il recupero di materiali preziosi da schede elettroniche e Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE)
Pubblicato il 19.01.2014
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I RAEE costituiscono quindi un’importante fonte di approvvigionamento di materiali, che sono in gran parte monopolio dei paesi produttori extraeuropei, soprattutto asiatici, e particolarmente necessari al nostro Paese, che non dispone di ingenti risorse minerarie. I rifiuti elettrici ed elettronici possono essere considerati delle vere e proprie ‘miniere urbane’ perché permettono di recuperare oro e stagno con estrema semplicità, in ambiente non necessariamente industriale.
L’innovativa metodologia dell’ENEA, che utilizza un processo idrometallurgico quasi a temperatura ambiente e che si può eseguire in piccoli impianti, comporta limitate emissioni in atmosfera, è estremamente vantaggiosa rispetto ai grandi impianti pirometallurgici utilizzati finora, che richiedono processi ad alta temperatura e sono più inquinanti. Presso il Centro ENEA Casaccia è in costruzione un impianto sperimentale per condurre delle campagne dimostrative. L’impianto è stato progettato in maniera modulare per poter essere utilizzato anche per lo sviluppo e l’ottimizzazione di tecnologie di processo utili al trattamento di materiali di altro tipo, come le lampade a fluorescenza esauste o i monitor LCD.
L’ENEA mette a disposizione questo impianto sperimentale per le imprese operanti nel settore dei RAEE, interessate alla realizzazione di impianti per il recupero dei materiali ad elevato valore aggiunto.
Testo redatto su fonte ENEA del 17 gennaio 2014
TECNOLOGIE PER LA RICERCA
Riconosciuta “l’eccellenza nella collaborazione industriale” delle aziende italiane per il contributo apportato nella costruzione del Large Hadron Collider (LHC)
Pubblicato il 18.10.2013
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Le aziende coinvolte hanno contribuito alla realizzazione di parti importanti e di tecnologia avanzata dei rivelatori dei due esperimenti e della macchina acceleratrice, in particolare i magneti superconduttori, l’elettronica, l’assemblaggio meccanico e la produzione e installazione di cavi speciali.
Sono molti anni del resto che l’Italia è tra i più forti fornitori delle commesse del CERN che valuta annualmente il ritorno industriale per ciascun paese membro mediante un coefficiente che è determinato dal rapporto tra la percentuale del valore delle commesse aggiudicate e la percentuale del contributo del paese al finanziamento totale. Il nostro paese ha sempre avuto un coefficiente di ritorno industriale nettamente favorevole. Dal 1995 al 2008, negli anni cruciali della costruzione di LHC, si è qualificata come terzo paese fornitore in assoluto, con l’assegnazione di commesse per 337 milioni di euro.
“Un piccolo riconoscimento per un grande contributo – ha dichiarato il presidente INFN Fernando Ferroni – che dimostra la vitalità delle aziende italiane che lavorano alla frontiera dell’innovazione tecnologica. L’INFN ha un ruolo determinante sia nel trasferimento delle commesse che nel trasferimento tecnologico. E in questi anni sono state numerose le aziende italiane, soprattutto medio piccole, che hanno cambiato la propria storia industriale grazie all’incontro con la fisica delle alte energie.”
“Questo riconoscimento premia il lavoro dei 200 tecnici di ASG, che lavorano nella nostra filiera italiana della superconduttività.” – ha dichiarato Vincenzo Giori Amministratore Delegato di ASG Superconductors, società della famiglia Malacalza – “Noi siamo impegnati nel costante sviluppo delle nostre competenze tecnologiche e capacità produttive: dal 2010 sono stati investiti oltre 50 milioni di euro in nuovi stabilimenti e attrezzature. Tali competenze ci permettono anche di sviluppare applicazioni con ricadute industriali: realizziamo magneti superconduttivi per l’ottimizzazione delle reti elettriche e per le applicazioni medicali con le controllate Columbus Superconductors (cavo superconduttivo in MgB2 per la trasmissione di energia) e Paramed Medical System (risonanza magnetica anticlaustrofobia e cryogen free)”.
“La scoperta del bosone di Higgs è stata una grande conferma che ha reso orgogliosi tutti quelli che hanno partecipato a questa difficile sfida – ha dichiarato il presidente di CAEN Marcello Givoletti – CAEN dopo oltre 30 anni di impegno nel campo della strumentazione elettronica per la Ricerca della Fisica delle particelle è orgogliosa di aver potuto dare un contributo a questa storica impresa internazionale che conferma l’eccellenza Italiana”.
Testo redatto su fonte INFN del 17 ottobre 2013
MATERIALI PER LE COSTRUZIONI
CNR, progetto “Thermovacuum”: una nuova generazione di legno termicamente modificato di elevata resistenza, ottima durabilità e a basso impatto ambientale
Pubblicato il 12.07.2013
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“Il Termovuoto combina un processo di essiccazione sottovuoto ad alta efficienza energetica e un trattamento termico, con l’obiettivo di offrire un prodotto ecologico, a basso impatto ambientale, conveniente e di alta qualità”, spiega Ottaviano Allegretti, responsabile del laboratorio Labess di CNR-IVALSA e della parte scientifica del progetto. “Grazie a questa tecnologia è possibile fornire a specie legnose come l’abete rosso, dominante in Trentino e nell’arco alpino, caratteristiche tipiche dei legni tropicali che vengono anche per questo importati, quali una spiccata piacevolezza estetica e particolari doti di durabilità non presenti nel legno naturale, che lo rendono particolarmente idoneo all’utilizzo in esterno, per esempio in infissi, facciate, arredi esterni e guardrail. Il legno garantisce così una forte competitività non solo rispetto a quello non trattato ma anche ad altri materiali, plastica fra tutti”.
Il metodo sviluppato da IVALSA è attualmente coperto da tre brevetti e “grazie anche alla riduzione dell’impatto ambientale ed economico del trasporto su lunghe distanze e allo sfruttamento eccessivo delle foreste tropicali, permette di ottenere effetti positivi sul piano ambientale ed energetico”, prosegue il ricercatore, “come confermano i risultati pubblicati recentemente sulla rivista internazionale ‘Bio Resources’”.
Il nuovo processo è frutto di cinque anni di attività di ricerca del CNR-IVALSA di San Michele all’Adige, finanziato da alcune imprese private, dalla Provincia autonoma di Trento e dallo stesso CNR. Il progetto è stato presentato nell’ambito della chiamata europea Eco-Innovation da un pool di aziende italiane e francesi insieme col Consorzio servizi legno sughero e la Uppsala University svedese ed è stato valutato dalla Commissione Europea così favorevolmente da ricevere un importo totale di 1,8 milioni di euro, il più alto finanziamento mai approvato per questo tipo di progetto, proprio perché considerato “strategico per l’alto contributo che esso può rendere all’ambiente e al sistema economico e occupazionale in Italia e Europa”, conclude Allegretti. “La ricerca ora si concentra sulla certificazione del materiale rispetto al suo ciclo di vita, dal bosco fino allo smaltimento, e sulle analisi delle sostanze organiche volatili (Voc) necessarie per l’applicazione nel settore dell’arredamento di interni. Con l’obiettivo di portare gli investimenti fatti e il patrimonio di conoscenze e tecnologie acquisite a ricadute reali nel sistema legno italiano”.
Testo redatto su fonte CNR-IVALSA del 21 giugno 2013
MATERIALI NANO-COMPOSITI
“Pesil”, un primo passo verso una classe di materiali dall’espansione termica nulla, utili per applicazioni in ambito aerospaziale e nella meccanica di precisione
Pubblicato il 07.07.2013
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Il “Pesil” è stato realizzato dall’unione di polietilene (Pe) e silicalite (Sil), una zeolite sintetica di silice pura, attraverso un processo di polimerizzazione dell’etilene all’interno dei microcanali di zeolite: il gas è stato ‘iniettato’ e poi compresso (10.000-15.000 atmosfere) all’interno delle piccolissime cavità che caratterizzano la silicalite.
“Le molecole del gas confinato in questo modo, trovandosi molto ravvicinate tra loro a causa dell’elevata densità, reagiscono chimicamente l’una con l’altra in modo da formare singole catene polimeriche di polietilene perfettamente compenetrate con la struttura ospite, come evidenziato da misure di spettroscopia ottica e di diffrazione di raggi X”, spiega Mario Santoro dell’IFAC-CNR, coautore dello studio. “La formazione di questo nuovo materiale nano-composito presenta diversi aspetti interessanti: una considerevole riduzione della comprimibilità, un aumento della densità e un’inversione di segno del coefficiente di espansione termica di volume, da negativo a positivo, rispetto alla silicalite di partenza”.
In pratica, un materiale come la silicalite, il cui volume specifico all’aumentare della temperatura normalmente diminuisce con l’inserimento di catene di polietilene lo aumenta, conformemente alla maggior parte dei materiali. “È questo uno degli aspetti più interessanti di “Pesil”: le sue proprietà meccaniche e termiche possono essere variate in modo ben mirato modificando la quantità di etilene polimerizzata”, prosegue Santoro. “Quindi, non sarebbe difficile ottenere un materiale dall’espansione termica nulla, di estremo interesse per applicazioni di meccanica di precisione o aerospaziali”.
Ma si potrebbe pensare anche ad applicazioni più sofisticate. “La sintesi ad alte pressioni di materiali simili al “Pesil”, ma basati sui polimeri conduttori anziché sul polietilene, potrebbe aprire la strada a una classe di materiali nano-strutturati completamente nuova, idonea per applicazioni nell’elettronica avanzata e nella fotonica”.
Testo redatto su fonte CNR del 15 maggio 2013
Image credit: CNR