Materiali per l’energia
CELLE FOTOVOLTAICHE
Celle solari polimeriche: mediante tecniche di spettroscopia ultraveloce una ricerca italiana ha cercato di comprendere il ruolo del DNA alla scala dei tempi del femtosecondo
30.06.2018
Testo dell’articolo
Le celle solari polimeriche sono una classe di dispositivi fotovoltaici di nuova generazione che combinano l’efficienza di conversione energetica (da energia solare a elettrica) con la versatilità e il basso costo di produzione. Infatti, possono essere prodotte con comuni tecnologie di stampa o serigrafia e rese flessibili utilizzando substrati plastici, di conseguenza sono facilmente impiegabili in una vasta gamma di campi di applicazione che spaziano dal tessile fino al settore delle costruzioni.
Sotto l’aspetto tecnologico queste celle sono composte da differenti strati che prevedono anche l’impiego di materiali nanostrutturati, come lo strato fotoassorbente, il cuore del dispositivo, dove derivati del fullerene (nanomateriali) sono opportunamente mescolati con oligotiofeni (una classe di polimeri) al fine di raccoglie la radiazione solare.
All’interno dello strato fotoassorbente vengono a verificarsi differenti meccanismi fisici tali da produrre delle cariche che trasportate agli elettrodi permettono alla cella di produrre corrente elettrica.
Una delle sfide più importanti in questo ambito è ottimizzare lo strato fotoassorbente per incrementare le prestazioni della cella. Un approccio innovativo à stato proposto dai ricercatori dell’Università di Roma “Tor Vergata”, che hanno progettato un’architettura di cella polimerica dove uno strato di DNA viene depositato sotto lo strato oligotiofene-fullerene, inducendo un importante miglioramento dell’efficienza del dispositivo. Tali dispositivi sono stati studiati mediante spettroscopia ultraveloce ed in questo modo è stato possibile comprendere come il DNA riesca ad indurre un ordine a lungo raggio nell’oligotiofene e questo comporta un miglioramento dell’efficienza nella separazione della carica nel materiale fotoassorbente.
Questo risultato segna il passo per lo sviluppo di nuovi dispositivi fotovoltaici sempre più efficienti, andando a modulare opportunamente l’organizzazione dello strato fotoattivo.
Testo redatto su fonte CNR del 28 giugno 2018
Per approfondimenti: Enhanced Charge Separation Efficiency in DNA Templated Polymer Solar Cells – Advanced Functional Materials | 18.04.2018
Images credit: infinityPV.com
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CELLE FOTOVOLTAICHE
Celle solari a perovskite, CNR: ridotti i costi di produzione, migliorate prestazioni e durata a lungo termine grazie all’uso di un cristallo bidimensionale, il disolfuro di molibdeno
10.06.2018
Testo dell’articolo
I risultati dello studio sono pubblicati su Advanced Energy Materials nell’articolo Extending the Continuous Operating Lifetime of Perovskite Solar Cells with a Molybdenum Disulfide Hole Extraction Interlayer.
Le PSCs sono costituite da diversi strati: nello strato interno fotoattivo di perovskite si generano coppie elettrone-lacuna in conseguenza dell’assorbimento di luce solare. Le lacune e gli elettroni devono essere poi trasferiti dalla perovskite agli strati di materiali di trasporto in maniera efficiente, per evitare la loro ricombinazione prima di giungere agli elettrodi. É qui che sono intervenuti i ricercatori utilizzando scaglie bidimensionali di pochi strati atomici di disolfuro di molibdeno (MoS2) come materiale attivo interposto tra lo strato di trasporto e quello dell’ assorbitore di perovskite.
L’approccio originale utilizzato dai ricercatori del laboratorio di Spettroscopia di raggi-X del CNR-ISM si avvale di tecniche avanzate di caratterizzazione in situ per il controllo su scala nanometrica delle proprietà morfologico/strutturali e della stabilità dei materiali attivi costituenti i dispositivi. La maggiore stabilità dei dispositivi è dovuta al duplice ruolo benefico del MoS2: da un lato preserva l’interfaccia tra materiale fotoattivo e strato di trasporto e dall’altro rallenta l’invecchiamento strutturale della perovskite – fenomeni che invece si osservano in celle prive del cristallo bidimensionale. Il primo effetto trae vantaggio dalla capacità dell’ MoS2 di intrappolare tramite intercalazione una vasta serie di ioni e molecole, ostacolando nel caso delle PSCs il processo di migrazione degli ioni di Indio dall’elettrodo trasparente verso gli strati interni. Il secondo risultato è ascrivibile alla funzione di barriera che svolge lo strato di MoS2 rispetto alla diffusione di molecole d’acqua dagli strati igroscopici presenti nella cella verso la perovskite, e che di fatto inibisce la degradazione strutturale della perovskite stessa.
La ricerca dimostra, inoltre, il ruolo benefico dell’MoS2 anche nel processo di scalabilità delle PSCs: realizzando celle di grandi dimensioni (0,5 cm2 ) con l’interstrato di disolfuro di molibdeno si ottiene un’efficienza di conversione di potenza pari a 13,17%, nettamente più alta di quella dei dispositivi standard (10,64%). Queste indagini aprono la strada a PSCs ad alta efficienza, a grande area e ultrasottili con vite che si avvicinano agli standard industriali.
Nelle tecnologie a energia pulita, l’alta efficienza, il basso costo e la lunga durata di vita dei dispositivi sono fattori cruciali per raggiungere la commercializzazione e una ampia adozione. L’uso di perovskite nelle celle solari, promettente per l’alta fotoattività ed efficienza di conversione della luce, ha un forte limite: l’efficienza delle prestazioni degrada bruscamente durante il funzionamento, ed è attualmente il principale ostacolo alla commercializzazione delle tecnologie solari basate sulla perovskite. Questo studio mostra che tale limite potrebbe essere superato con una attenta integrazione di materiali bidimensionali nelle celle solari, ottimizzando le interfacce tra gli strati del dispositivo per produrre PSCs estremamente efficienti e stabili.
Testo redatto su fonte CNR dell’8 giugno 2018
Per approfondimenti: Extending the Continuous Operating Lifetime of Perovskite Solar Cells with a Molybdenum Disulfide Hole Extraction Interlayer – Advanced Energy Materials | 17.01.2018
Progetto Graphene Flagship: graphene-flagship.eu
CNR-GRAPHENE FACTORY: grafene.cnr.it
Image credit: Matt Klug
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CELLE A COMBUSTIBILE
Stabilite delle linee guida per controllare la carica delle nanoparticelle di platino con l’obiettivo di ottenere nuovi catalizzatori con la massima efficienza nel processo
13.01.2016
Testo dell’articolo
Ora, nell’articolo “Counting electrons on supported nanoparticles” pubblicato su Nature Materials viene descritto come controllare la carica elettrica delle nanoparticelle di platino, un catalizzatore importante nelle celle a combustibile, per ottenere la massima efficienza nel processo. Le celle a combustibile sono dispositivi che servono a trasformare l’energia chimica in energia elettrica (sfruttando una reazione fra un combustibile, che può essere l’idrogeno o un altro, e l’ossigeno).
Lo studio, finanziato dal chipCAT – Design of thin-film nanocatalysts for on-chip fuel cell technology, un progetto europeo il cui scopo è trovare materiali innovativi per la generazione futura di celle a combustibile, è il frutto di una collaborazione internazionale, alla quale hanno partecipato ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) e dell’Istituto Officina dei Materiali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IOM-CNR) di Trieste. Combinando le misure sperimentali, eseguite da un gruppo dell’Università di Praga e condotte presso ELETTRA sincrotrone Trieste, e il lavoro teorico con le simulazioni numeriche, condotte presso l’Università di Barcellona, sono state stabilite delle linee guida per controllare la carica delle nanoparticelle e per ottenere catalizzatori di massima efficienza.
Celle a combustibile per il metanolo “verde”
Un filone importante di ricerca nel campo delle energie rinnovabili riguarda la produzione di metanolo con tecnologie che imitano la fotosintesi. Se un giorno si riuscisse a produrre in scala industriale metanolo con queste tecnologie sarà anche necessario avere un modo efficiente e pulito di trasformarlo in energia elettrica. Per questo si useranno celle a combustibile a metanolo, dove la combinazione di questa molecola con l’ossigeno darà come prodotto di scarto acqua e anidride carbonica (da notare che il bilancio ambientale dell’anidride carbonica in questo caso è neutro, visto che il metanolo sarà prodotto per fotosintesi, sottraendo CO2 dall’atmosfera). Il tipo di catalizzatore che il gruppo di ricerca sta studiando è quello che servirà in queste celle a combustibile.
Testo redatto su fonte SISSA del 14 dicembre 2015
Per approfondimenti: Counting electrons on supported nanoparticles – Nature Materials | 14.12.2015
Progetto chipCAT: chipcat.eu
Image credit: Sergey Kozlov e Oriol Lamiel
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CONCENTRATORI SOLARI LUMINESCENTI
Realizzate lastre di plastica con speciali nanoparticelle fluorescenti che, catturando e concentrando la luce solare, trasformano una finestra in un pannello solare
01.09.2015
Testo dell’articolo
Si tratta di lastre di plastica o vetro nelle quali sono incorporate speciali nanoparticelle che assorbono la luce solare e la riemettono all’interno della lastra. Piccole celle solari poste lungo il perimetro di una finestra raccolgono la luce intrappolata, convertendola in elettricità: in questo modo, anche una finestra parzialmente trasparente diventa un generatore di elettricità, trasformandola in una sorta di pannello solare. I nuovi vetri fotovoltaici presentano diversi vantaggi che li rendono una tecnologia pronta ad un utilizzo in applicazioni concrete.
– Gli LSCs a nanoparticelle non sono tossici perché nei dispositivi non vi sono cadmio, né altri metalli (il limite vero alla diffusione di nanomateriali e nanoparticelle in applicazioni di largo consumo finora è stata la loro composizione potenzialmente nociva).
– Inoltre sono molto efficienti perché assorbono la luce da tutto lo spettro solare (non solo dal rosso, come avviene con i dispositivi precedenti) e al tempo stesso non riassorbono la loro stessa luminescenza.
– Infine sono incolori, superando così uno dei limiti più grandi per l’applicazione in edilizia civile, ovvero l’impatto estetico, un fattore di fondamentale importanza (una nuova tecnologia è più facilmente accettata se migliora la qualità della vita)
Come spiega Francesco Meinardi, invece di continuare a lavorare con i classici cristalli semiconduttori a base di metalli pesanti come il cadmio o il piombo, sono state sviluppate nanoparticelle costituite da leghe di più elementi, riuscendo ad ottenere LSCs non tossici, con straordinarie capacità di assorbimento della luce del sole, e che al contempo preservano la caratteristica chiave di non riassorbire la luce emessa da loro stessi. In questo modo sono state coniugate le elevate efficienze e le grandi dimensioni richieste per la costruzione di elementi architettonici reali.
Per Sergio Brovelli questa tecnologia diviene ora una realtà facilmente scalabile per la produzione industriale e potrà essere immediatamente utilizzata nella green architecture e nella building sustainability. Con questi nuovi nano-materiali altamente performanti, sarà possibile nel breve periodo realizzare finestre fotovoltaiche o altri elementi architettonici flessibili e semi-trasparenti per convertire non solo i tetti ma tutte le parti di un edificio in generatori di energia solare, come sempre più fondamentale nei contesti ad elevata urbanizzazione.
Se a questi vantaggi si aggiunge il risparmio energetico derivante dal ridotto ricorso al condizionamento ambientale, grazie all’assorbimento della luce solare da parte dei concentratori solari che limita il sovra riscaldamento degli edifici, si ha a disposizione una tecnologia potenzialmente rivoluzionaria per le città a energia zero del futuro.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 24 agosto 2015
Per approfondimenti:
Highly efficient large-area colourless luminescent solar concentrators using heavy-metal-free colloidal quantum dots – Nature Nanotechnology | 24.08.2015
Large-area luminescent solar concentrators based on ‘Stokes-shift-engineered’ nanocrystals in a mass-polymerized PMMA matrix – Nature Photonics | 13.04.2015
Image credit: Flores Daorta et al., © 2014 AIP Publishing LLC
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CELLE FOTOVOLTAICHE
Due ricerche dell’IIT sulle celle solari ibride a base di perovskiti studiano le potenzialità di questa tecnologia per ottimizzarne la produzione di energia elettrica
22.08.2015
Testo dell’articolo
Ora una ricerca, sviluppata da un team del Center for Nano Science and Technology (CNST) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Milano, e pubblicata su Nature Photonic in “Role of microstructure in the electron–hole interaction of hybrid lead halide perovskites“, mostra che a seconda della struttura cristallina, la pervoskite trasforma i fotoni in cariche libere (elettroni e lacune) oppure in cariche legate (chiamate eccitoni, una specie di atomo di idrogeno dentro un solido). Questo risultato è significativo dal punto di vista delle proprietà elettriche: le cariche libere sono subito corrente ed elettricità, le coppie sono “neutre” e spesso riemettono luce invece che creare un segnale elettrico. Ciò conferma l’importanza dello studio della morfologia dei cristalli di perovskite al fine di ottimizzare la produzione di energia elettrica.
Un altro studio del gruppo del CNST-IIT, pubblicato su Energy & Environmental Science in “17.6% stabilized efficiency in low-temperature processed planar perovskite solar cells“, si è invece concentrato sugli aspetti legati all’efficienza delle nuove celle ibride, sviluppando quindi la ricerca su due filoni: approfondire le potenzialità del materiale e cercare di ottimizzarle.
Se confrontate con quelle degli attuali pannelli fotovoltaici al silicio (esistente da più di cinquant’anni), le prestazioni delle celle solari ibride a base di perovskiti sono molto promettenti in considerazione del fatto che la loro tecnologia è ancora in una fase di sviluppo iniziale. Inoltre, le efficienze competitive sono associate a bassi costi di produzione legati all’abbondanza dei materiali attivi e ai semplici metodi di fabbricazione che avvengono a basse temperature e sono estendibili su larga scala.
Un significativo vantaggio che apporterà questa nuova generazione di fotovoltaico è che sarà allargato lo spettro di applicabilità di questa tecnologia: essendo stampabile su superfici di diversa natura, anche flessibili, l’energia potrà essere portata anche nelle parti curve degli edifici, su tensostrutture, tende e vetri. Essa potrà essere impiegata anche nel campo delle tecnologie indossabili o per portare energia in località remote o sottosviluppate dove non esiste una rete di distribuzione.
Testo redatto su fonte IIT del 18 agosto 2015
Per approfondimenti:
Role of microstructure in the electron–hole interaction of hybrid lead halide perovskites – Nature Photonics | 17.08.2015
17.6% stabilized efficiency in low-temperature processed planar perovskite solar cells – Energy & Environmental Science | 19.06.2015
Image credit: Los Alamos National Laboratory
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MATERIALI FOTOVOLTAICI
Importante passo avanti nello sviluppo di perovskiti ibride ecologiche, materiali fotovoltaici in grado di convertire il 20% dell’energia solare in energia elettrica
13.06.2015
Testo dell’articolo
Come spiega Alessandro Stroppa, fisico SPIN-CNR, lo studio era mirato a cercare un’alternativa sostenibile sia alle celle solari fatte di silicio, i cui costi sono elevati a causa dei complessi metodi di fabbricazione, sia alle perovskiti finora studiate, meno costose ma tossiche per l’uomo e per l’ambiente per via del piombo in esse contenuto. Con le simulazioni al computer è stata studiata una nuova perovskite ibrida promettente in ambito fotovoltaico, e non contenente piombo. Impiegando queste perovskiti per convertire energia solare in elettrica, si otterrebbe quindi “energia doppiamente pulita”.
I ricercatori sottolineano altre proprietà interessanti di questo materiale che riguardano la sua struttura elettronica. Silvia Picozzi, coordinatore del gruppo SPIN-CNR chiarisce che la struttura di queste perovskiti è un ibrido formato da una parte inorganica intercalata con molecole organiche, che, a loro volta, posseggono un dipolo elettrico, cioè una grandezza fisica che quantifica la separazione tra cariche positive e negative, prosegue. Lo studio teorico mostra che questi dipoli possono ordinarsi e dar luogo ad una polarizzazione elettrica che aiuta le cariche foto-generate a separarsi, influenzando positivamente l’attività fotovoltaica.
Stroppa conclude affermando che la ricerca si è focalizzata infine sui gradi di libertà di spin, un aspetto finora poco studiato in questi materiali, scoprendo una particolare geometria della cosiddetta “spin-texture”, che risulta controllabile con un campo elettrico esterno. In questo materiale, spiega il fisico, si potrebbe quindi sfruttare questa nuova funzionalità di spin e ottenere dispositivi multifunzionali efficienti e versatili, peculiari proprietà che sarebbero potenzialmente eccellenti ad esempio per lo sviluppo di una nuova generazione di dispositivi spin-opto-elettronici (strumenti che convertono segnali elettrici in segnali ottici -fotoni- e viceversa, come i Led).
Testo redatto su fonte CNR del 9 giugno 2015
Per approfondimenti: Tunable ferroelectric polarization and its interplay with spin–orbit coupling in tin iodide perovskites – Nature Communications | 23.12.2014
(Image credit: Nature Communications (2014) DOI: 10.1038/ncomms6900
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MATERIALI NANOSTRUTTURATI
Semiconduttori nanostrutturati di dimensioni inferiori a 15 nm possono migliorare l’efficienza nella produzione di energia di celle fotovoltaiche e centrali termoelettriche
30.11.2014
Testo dell’articolo
In particolare, i semiconduttori nanostrutturati inferiori ai 15 nanometri sui quali è stata effettuata la sperimentazione sono stati messi a punto da Stefano Sanguinetti (Professore Associato di Fisica della Materia) e Sergio Bietti (Assegnista di Ricerca) del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Ateneo in cui si è sviluppata la specializzazione di controllare la materia a livello nanometrico, riconosciuta a livello internazionale. A vederli nelle immagini ottenute col microscopio a forza atomica, questi semiconduttori somigliano a dune isolate nel deserto (quantum dots).
Si tratta di strutture fatte di arseniuro di gallio che i ricercatori hanno fatto crescere in una macchina chiamata Molecular-Beam Epitaxy (MBE) nei laboratori L-NESS dell’Università di Milano-Bicocca a Como. “Contrariamente a quanto si supponeva – dice Stefano Sanguinetti che ha costruito i quantum dots – nei materiali nanostrutturati di dimensioni inferiori ai 15 nanometri, le vibrazioni prodotte dall’energia non si muovono dal punto di generazione con un moto diffusivo, che potremmo definire “a goccia di inchiosto”, bensì si spostano nel materiale senza degradarsi e deviare da traiettorie rettilinee come quelle di un proiettile. Questa importante scoperta ha implicazioni nel campo della generazione diretta di energia elettrica da fonti di calore, come nei materiali termoelettrici, e nel fotovoltaico avanzato”.
In queste micro-dune, infatti, l’energia rilasciata dal sistema elettronico rimane disponibile per un tempo che permette di sfruttarla meglio e in modo più efficiente. Si tratta del periodo di “fuori equilibrio”, un millesimo di miliardesimo di secondo o pico secondo, difficilmente concepibile dalla mente umana ma sufficiente a permettere l’immagazzinamento di quantità maggiori di energia prodotte ad esempio dalla differenza di calore, rispetto a strutture di dimensioni maggiori . “Questi semiconduttori nanostrutturati – conclude Sanguinetti – possono servire a migliorare l’efficienza di ciò che viene già fatto nella produzione di energia, dalle celle fotovoltaiche ad alta efficienza alle centrali termoelettriche”.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 27 novembre 2014
Per approfondimenti: Diffraction of Quantum Dots Reveals Nanoscale Ultrafast Energy Localization – Nano Letters | 12.11.2014
Image credit: S.Sanguinetti e S.Bietti/Università Milano-Bicocca
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PRODUZIONE DI IDROGENO
CNR: sviluppato un sistema innovativo a basso consumo energetico che produce idrogeno con l’impiego di elettrodi nanostrutturati e soluzioni acquose da alcoli rinnovabili
23.07.2014
Testo dell’articolo
“Comunemente l’idrogeno si ottiene dal metano, un metodo che produce CO2 e quindi inquina”, spiega Vizza. “Un’alternativa pulita è quella dell’elettrolisi dell’acqua, processo che implica la scomposizione dell’acqua in ossigeno e idrogeno ‘a zero emissioni’, ma ha un elevato consumo energetico e, quando prodotto in alta pressione, presenta problemi di sicurezza poiché il mescolamento dei due elementi può generare miscele esplosive. La novità del nostro studio è che abbiamo messo a punto un elettrolizzatore in grado di produrre idrogeno, ma non ossigeno, a partire da soluzioni acquose da alcoli rinnovabili (etanolo, glicerolo o altri alcoli superiori estratti da biomasse), ottenendo un risparmio energetico del 60% rispetto all’elettrolisi dell’acqua. Come era noto, infatti, per rompere l’acqua in presenza di alcoli serve meno energia rispetto a quella necessaria quando c’è solo acqua, ma nessuno prima del nostro gruppo aveva pensato di sfruttare queste caratteristiche degli alcoli rinnovabili per la produzione di idrogeno”.
Cuore dell’esperimento sono gli elettrodi nanostrutturati impiegati in una cella elettrolitica di nuova generazione. “Si tratta di elettrocatalizzatori anodici costituiti da nanoparticelle di palladio, depositati su architetture tridimensionali di nano-tubi di titanio”, aggiunge il ricercatore dell’ICCOM-CNR, “grazie ai quali è possibile realizzare elettrolizzatori per produrre idrogeno da soluzioni acquose di alcoli derivati da biomasse, consumando 18,5 kWh per la produzione di 1 kg di idrogeno, rispetto a 45 KWh per 1 kg di idrogeno prodotto da sola acqua, un grande guadagno energetico ed economico. Il risultato supera abbondantemente le raccomandazioni dell’US DOE (United States Department Of Energy) che, entro il 2020, ha fissato un limite di 43 KWh di consumo di energia elettrica per kg di idrogeno prodotto”.
Diverse le potenziali ricadute tecnologiche della ricerca. “L’idrogeno pulito e a basso costo energetico, opportunamente immagazzinato, potrebbe servire per generare corrente elettrica da qualche kWh fino a potenze più alte: generatori di corrente portatili e stazionari, a zero impatto ambientale. Inoltre, l’elettrolizzatore dell’invenzione permette di ottenere, a partire da alcoli rinnovabili, composti ad alto valore aggiunto, utili nell’industria cosmetica e tessile (derivati del glicerolo e del glicole etilenico), alimentare (acetato da bioetanolo) e nella produzione di plastiche biodegradabili (acido lattico da propandiolo), attualmente ottenuti solo mediante costosi ed inquinanti processi industriali”, conclude Vizza.
Testo redatto su fonte CNR del 23 luglio 2014
Per approfondimenti: Nanotechnology makes biomass electrolysis more energy efficient than water electrolysis – Nature Communications | 03.06.2014
Image credit: Nature Communications (2014) DOI: 10.1038/ncomms5036
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CONCENTRATORI SOLARI LUMINESCENTI
Università di Milano-Bicocca: grazie a nuove nanoparticelle a semiconduttore, sviluppati dispositivi in grado di catturare e concentrare la luce solare senza dispersione
14.04.2014
Testo dell’articolo
I concentratori solari luminescenti (LSC, Luminescent Solar Concentrators) sono dispositivi costituiti da una lastra plastica o vetrosa nella quale sono incorporate specie otticamente attive dette cromofori che assorbono parte della luce solare e la ri-emettono all’interno della lastra. La luce è quindi convogliata verso i bordi sfruttando il fenomeno della riflessione totale interna, così come avviene nelle fibre ottiche utilizzate nelle telecomunicazioni, dove è trasformata in energia elettrica da piccole celle solari poste lungo gli spigoli. Scegliendo in modo opportuno il grado di trasparenza ed il colore del dispositivo, è quindi possibile trasformare delle normali finestre in elementi fotovoltaici a tutti gli effetti senza sensibili aumenti di costo. Fino ad oggi non era possibile realizzare concentratori solari luminescenti di dimensioni sufficienti per un impiego in contesti reali (vetrate, serre, coperture trasparenti ecc…) a causa del fatto che cromofori standard, siano essi molecole o nanoparticelle, riassorbono gran parte della loro stessa fluorescenza. Questo processo noto come “ri-assorbimento” comporta che la luce emessa da un cromoforo sia ri-assorbita dal cromoforo successivo cosicché la sua intensità diminuisce progressivamente, fino ad azzerarsi, avvicinandosi al bordo della lastra.
La realizzazione di materiali privi di ri-assorbimento è quindi la sfida principale per l’affermazione di questa tecnologia. Nel lavoro, pubblicato su Nature Photonics nell’articolo “Large-area luminescent solar concentrators based on ‘Stokes-shift-engineered’ nanocrystals in a mass-polymerized PMMA matrix”, gli scienziati hanno sviluppato una tecnica per incorporare nei concentratori plastici degli speciali cristalli colloidali di dimensioni di pochi milionesimi di millimetro. In questi nuovi nanomateriali, una particella funge da involucro per una seconda nanoparticella ancora più piccola, in una geometria che ricorda un nocciolo ricoperto dal suo guscio.
Come spiega Francesco Meinardi, il grande vantaggio di questi sistemi è che permettono di disaccoppiare i processi di assorbimento e di emissione della luce: l’assorbimento avviene nel guscio che immediatamente trasferisce l’energia accumulata al nocciolo da cui avviene l’emissione luminosa. Siccome il guscio è trasparente all’emissione del nocciolo, la fluorescenza può propagare senza perdite per distanze molto lunghe, permettendo di realizzare dispositivi di grandi dimensioni nell’ordine di migliaia di centimetri quadrati e quindi utilizzabili in contesti architettonici reali.
Per Sergio Brovelli questa tecnologia è immediatamente scalabile per l’industria e può essere utilizzata nella green architecture e nella building sustainability. Con questi nano-materiali, non più soltanto i tetti ma tutte le parti di un edificio possono diventare pannelli solari, incluse finestre e facciate, favorendone l’auto-sostenibilità. Inoltre la possibilità di realizzare dispositivi di qualsiasi forma e colore offre nuove opportunità nel design di elementi architettonici intelligenti.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 13 aprile 2014
Per approfondimenti: Large-area luminescent solar concentrators based on ‘Stokes-shift-engineered’ nanocrystals in a mass-polymerized PMMA matrix – Nature Photonics | 13.04.2014
Image credit: Università di Milano-Bicocca
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MATERIALI ELASTOMERICI
“Elastomeri elettro attivi”: materiali che, come una dinamo subacquea, sfruttano il moto ondoso per produrre energia elettrica a bassissimo costo
19.12.2013
Testo dell’articolo
La “chiave di volta” del progetto PolyWEC risiede in alcuni materiali, gli “elastomeri elettro attivi”, denominazione estremamente tecnica che indica i materiali usati e che già nel suono ricorda gli elastici. Gli “elastomeri” non sono altro che gomme, resistenti alla corrosione provocata dalle acque marine e disponibili a bassissimo costo. La particolarità sta nell’essere deformate dalle onde e nella capacità di convertire l’energia elastica in elettrica. L’obiettivo di PolyWEC è sviluppare “unità di conversione”, in pratica “generatori”, realizzati per intero da componenti in gomma leggeri e reperibili a prezzi estremamente contenuti. In questo modo sarà possibile produrre energia elettrica in maniera da rendere sostenibile l’investimento, anche nei mari caratterizzati da un moto ondoso non eccessivo com’è appunto il Mediterraneo. Il progetto PolyWEC sta mettendo a punto diverse configurazioni di “trasduttori ad elastomero elettroattivo”, i sistemi che permettono di convertire l’energia del mare in elettricità, pronti ad adattarsi a climi ondosi e a caratteristiche di fondale differenti, utilizzando anche nuovi materiali a base di gomma naturale, mentre gomme acriliche e siliconi sono analizzati e sintetizzati per migliorare le caratteristiche di efficienza dei generatori che saranno sviluppati e che saranno in grado di aumentare le loro prestazioni.
Testo redatto su fonte Scuola Superiore Sant’Anna del 18 dicembre 2013
Per approfondimenti: www.polywec.org
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